MATELICA – Nonostante la pioggia e il clima uggioso, un discreto numero di persone ha preso parte mercoledì 12 marzo scorso, nella sala conferenze della Fondazione Il Vallato, alla terza struggente serata di dibattito della serie “Divieto di Sosta”, promossa dall’associazione Senza Filo di Fabriano in collaborazione con la Fondazione Il Vallato ed il contributo tecnico della Mga Multimedia di Marco Angelini, che si è occupata della diretta Facebook e della registrazione su YouTube. Ospite Vito Fiorino, 76 anni, il soccorritore del tragico naufragio di migranti a Lampedusa del 2 ottobre 2013, mentre, ancora una volta, i pesaresi Emanuele Lepore e Bartolomeo Giunti hanno deliziato il pubblico con momenti di musica dal vivo. Conduttori, come sempre, i giovani professori fabrianesi Danilo Ciccolessi e Andrea Fabbri, che hanno spinto Fiorino a raccontare i momenti più duri di questo episodio, rientrante in questioni di politica internazionale, legate al traffico di esseri umani, alle armi e alla droga. Fiorino si è dichiarato «un migrante, perché originario di Bari, andato al nord a fare fortuna, poi finito a Lampedusa per caso nel 2000 dove mi sono trasferito». Fiorino ha anche tenuto a dire che «noi italiani in genere, a mio avviso, siamo molto razzisti e dimentichiamo che ogni famiglia ha qualche antenato o parente che è partito come migrante per fare fortuna e soprattutto noi meridionali, che oggi osteggiamo tanto questi poveri disgraziati che salgono dall’Africa e da altre zone del mondo. Ricordo bene quando da bambino con mia madre raggiungemmo mio padre, che viveva a Sesto San Giovanni in una cantina sotto ad un appartamento, che aveva una turca comune nel cortile: era un laboratorio-falegnameria dove vivevamo. Non scandalizziamoci, oggi la stessa accoglienza la riserviamo agli extracomunitari che arrivano. All’epoca non si affittava ai meridionali, oggi a “migranti e negri”. Eppure oggi come ieri questi migranti garantiscono un certo benessere alla nostra società, perché fanno il lavoro che nessun italiano farebbe più, a cominciare dalla raccolta dei rifiuti: senza di loro a Milano l’immondizia resterebbe dov’è». Si è quindi passati a raccontare la storia del naufragio, quando era in mare con la sua barca, la Gamar, che era la somma dei nomi dei suoi amati nipoti, Gabriel e Martina, ma che in arabo vuol dire luna. «E proprio la luna mancava quel maledetto 2 ottobre 2013» ha dichiarato Fiorino, che imputa ogni cosa accaduta «al destino».

«Quella sera eravamo partiti a mezzanotte per la pesca – ha continuato Fiorino – eravamo in otto amici. Abbiamo visto a distanza una luce blu, doveva essere un mezzo militare. Alle 3,30 mentre tornavamo decidemmo di fermarci a dormire fino alle 6,30. Avremmo pescato un altro po’, un breve bagno in mare e si sarebbe ripartiti. Dormivo quando venne riacceso il motore della Gamar e subito rispento. Allora mi svegliai per chiedere cosa fosse accaduto. Il timoniere disse che sentiva un vocio. Lo tranquillizzammo che dovevano essere i gabbiani che ci circondavano, ma lui insisteva. Allora partimmo e dopo appena 800 o 900 metri vedemmo in mare che c’erano almeno 200 persone in acqua, che urlavano e chiedevano aiuto. Abbiamo avvisato la capitaneria di porto e per norma potevamo salvare solo una persona (la barca aveva 9 posti), ma altre 4 o 5 le avrei caricate lo stesso, nonostante il rischio di essere sanzionato. Ma tutti gli altri? Per altro erano nudi e sporchi di gasolio, scivolavano alla presa. Uno di loro ci disse che erano partiti in 540 persone, ma tutti quelli non c’erano. Erano partiti da Misurata e quando sono stati abbandonati dagli scafisti non sapevano dove fossero. Una motovedetta grigio-argento lì aveva visti e fotografati, poi si era spento il motore. Per fare segnale avevano incendiato una maglietta, ma per errore il fuoco era finito nel vano motore, incendiando la barca. L’agitazione aveva fatto rovesciare la barca e solo pochi sapevano nuotare… Alla fine abbiamo salvato 47 persone di cui 1 donna. Con l’arrivo dei mezzi della capitaneria di porto si salvarono in tutto 155 persone, ma penso sempre che se mi avessero consentito il trasbordo avremmo potuto salvarne altri. Dei superstiti solo uno vive in Italia, gli altri oggi sono cittadini di Svezia e Olanda, lavorano e stanno bene. Con alcuni di loro sono ancora in contatto, abbiamo girato un docufilm insieme. Tornano a Lampedusa per il loro ‘compleanno’, perché quel giorno per loro è stato come nascere di nuovo. Per i 366 invece sepolti con un numero e senza nome, sognavo un memoriale e alla fine è stato possibile ottenerlo». Fiorino ha chiuso dicendo «in quei momenti non si è eroi, non c’è tempo per pensare: auguro a tutti di dover stendere le braccia solo per abbracciare qualcuno e mai più per una tragedia simile».

Prossimo appuntamento della serie, martedì 25 marzo alle ore 18, sempre alla Fondazione Il Vallato, con la campionessa olimpionica Sofia Raffaeli della Ginnastica Fabriano.