In Diocesi tredici lezioni con autorevoli relatori

«Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede» scrive San Paolo nella prima lettera ai Corinzi e forse proprio per questa ragione l’umanità nella propria fragilità e debolezza ha sempre cercato prove conclamate della giustezza della propria fede. Una condizione che ha generato persino distorsioni e fenomeni pericolosi che sono stati facilmente derisi e specularmente utilizzati da chi nei secoli si è impegnato per opporsi al messaggio evangelico. In tale contesto è stata spesso inserita proprio quella che in gergo giuridico sarebbe da considerare la «regina probationum», la prova della risurrezione stessa: il lenzuolo di lino, oggi conservato a Torino, che avrebbe avvolto il corpo di Gesù Cristo e sul quale, per ragioni che restano incomprensibili, si sarebbe generata un’immagine in negativo con i segni del supplizio. Va usato però il condizionale, dato che questa preziosa reliquia, da secoli oggetto di divisione e dibattito tra gli stessi fedeli, dopo il celebre esame al radiocarbonio ed il successivo comunicato del 13 ottobre 1988, è stata definita un clamoroso falso storico, databile tra il 1260 ed il 1390. Malgrado ciò, resta un unicum e ad oggi non è ipotizzabile né un duplicato, né sapere con precisione quale fenomeno abbia potuto imprimere l’immagine su un telo dalla finissima consistenza al tatto. Gli esiti rilevati sui frammenti di stoffa da laboratori di fama internazionale non hanno però risolto la questione, seppur ci siano stati scienziati che, forse con qualche eccesso di sicurezza e dichiarazioni troppo gongolanti, asserirono «senza ombra di dubbio» che la Sindone è un falso e qualcuno addirittura la definì «una sorta di specchietto per le allodole» per creduloni. Frasi neanche tanto nuove, se si pensa che già nel 1543 il riformatore Giovanni Calvino sostenne che la Sindone era andata certamente bruciata in un incendio scoppiato nel 1532 e che quella che veniva esposta era una copia prodotta ad hoc in fretta e furia, tanto che «la pittura era così fresca che mentire non sarebbe servito a nulla, se ci fossero stati occhi per guardare». Da ciò se ne ricava l’insegnamento che una reliquia, seppur la più prestigiosa, non può diventare uno strumento di conversione o assolvere alle proprie incredulità. Riguardo invece all’indagine storica e scientifica sul tanto conteso lenzuolo, c’è ancora molto da capire ed è questa la ragione che, nel corso degli ultimi decenni, ha tenuto accesa l’attenzione nello stesso mondo accademico. E non solo perché il pezzo di lino scelto ed esaminato in più laboratori risulta essere tra le parti maggiormente inquinate da fattori esterni, ma soprattutto perché le analisi ottiche e spettroscopiche di alcuni fili prelevati dal lembo ritagliato per la misura di datazione nel 1988 hanno evidenziato caratteristiche ottiche e chimiche diverse da quelle della zona centrale della Sindone. Le domande che ne sono scaturite non hanno perciò riguardato solo i fedeli, ma il mondo scientifico in genere, se come sottolineò il matematico ed epistemologo ArnaudAaron Upinsky, «la Sindone di Torino è un problema mediatico, un problema istituzionale. In una parola, è un problema di visione globale interdisciplinare, un problema di società».
Questa reliquia, che divide il mondo in due visioni contrapposte e almeno apparentemente inconciliabili tra loro, ha un legame profondo con la nostra terra. In molti sanno che nelle Marche, ad Arquata del Tronto, nell’ascolano, si conserva un altro telo, rinvenuto casualmente nel 1980 in una teca insieme ad una pergamena del 1655, dove si spiega la prodigiosa produzione del ‘calco’ per contatto diretto con la Sindone di Torino. Quello che invece molti ignorano è che anche nella nostra Diocesi si custodiscano tracce e testimonianze legate al mistero sindonico. In primo luogo nella chiesa di Santa Caterina a Fabriano, dove si conserva una copia della Sindone, attribuita dalla tradizione all’opera di una pia suora e procurata nel 1646 dal frate fabrianese, Ippolito Righi, certificata dal vescovo di Alba, dopo essere stata a contatto «actualiter et vere» con l’originale. Pressoché ignoto è poi il contributo ‘teologico’ che a fine ‘500 fornì il dotto monaco benedettino matelicese, Egidio Sernicoli, sul quale è prossima una pubblicazione, fornendo un parere sulla Sindone al cardinale Alfonso Paleotti per confutare le suddette tesi di Giovanni Calvino. Addirittura poi al Museo Piersanti, prima di un furto negli anni ‘70 si trovava persino una copia della Veronica e tuttora vi si conserva una curiosa Crocifissione del pittore Giovanni de Carris da Matelica. Qui la croce non necessita di scale come quelle del Lotto, ma è poco più alta di un paio di metri da terra, come verosimilmente erano quelle di epoca romana. Inoltre Gesù appare con la gamba sinistra sopra alla destra. Ora invito i lettori ad un piccolo esercizio in merito e a contare quanti crocifissi troveranno con questa postura. Scopriranno che sono rarissimi. Perché? Forse de Carris era un tipo travagante e si concedeva licenze artistiche? Oppure, avendo origini albanesi, conosceva certe leggende diffuse nel mondo ortodosso, secondo le quali Cristo era zoppo ed aveva il piede sinistro più corto? O più semplicemente aveva avuto modo di vedere (o conoscere indirettamente) la reliquia, posseduta privatamente in Casa Savoia dal 1453 al 1506, poi trasferita a Torino nel 1578, dopo aver a lungo viaggiato tra Milano, Vercelli e Nizza ed essere stata danneggiata dall’incendio di Chambery nel 1532? Tutto è possibile, ma a queste domande potremmo aggiungere quella legittimamente posta dal cardinale Paleotti all’abate Sernicoli di Matelica: «Perché Luca effettivamente nel suo Vangelo parla di teli e non di un singolo lenzuolo?». Si saranno sbagliati i Vangeli? Oppure aveva ragione Calvino che provocatoriamente riteneva imbarazzante per noi cattolici qualsiasi risposta a riguardo? Eppure lui stesso non rispose alla principale delle domande a cui quel telo rimanda, rileggendo il passo relativo alla scoperta della tomba vuota: «Vide e credette» (Giovanni 20, 8). Cosa c’era da vedere per cui credere? Sono interrogativi talmente complessi e stimolanti, per cui nel maggio 2018, grazie alla disponibilità concessa all’epoca dal Vescovo Mons. Stefano Russo, si volle organizzare una visita a Matelica dei componenti del C.I.S.S. (Centro internazionale di studi di sindonologia) di Torino, i quali tennero poi un incontro pubblico che suscitò un elevato interesse tra il pubblico, composto di fedeli e laici, e si decise di farne altri di approfondimento quanto prima. Trascorsa la pandemia, grazie alla disponibilità subito offerta dal nostro Vescovo Mons. Francesco Massara, le Diocesi di Fabriano – Matelica e Camerino – San Severino, in collaborazione con la Fondazione il Vallato, hanno deciso di predisporre ed affidare ai relatori del C.I.S.S. un intero corso a livello nazionale sulla Sindone di 13 lezioni (due in presenza, gli altri online), di aggiornamento per tutti gli insegnanti e di formazione per chiunque. Saranno esaminate in questo modo questioni di natura chimico-scientifica, fisica, storica, archeologica ed esegetica, generate dall’analisi del telo. Ad intervenire saranno personalità di alto profilo e celebri come il fisico Paolo Di Lazzaro, direttore di ricerca dell’Enea, a dimostrazione che la Sindone è tutt’altro che una questione di fede ed il mistero che custodisce è intrinseco nell’oggetto stesso. A prescindere da ogni esame, infatti, come disse San Giovanni Paolo II nella sua visita pastorale a Torino del 24 maggio 1998, «la Sindone è uno specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro lino, non si può prescindere dalla considerazione che l’immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla».