«Le azioni erano mostruose, ma per chi le fece era pressoché normale, né demoniaco, né mostruoso». Queste le parole della filosofa tedesca Hannah Arendt riportate dall’ospite dell’ultimo appuntamento delle serate di incontro intitolate “Divieto di Sosta” dell’Associazione Culturale “Senza Filo”, don Marcello Cozzi. Autore del libro “Uno così”, don Marcello, presso la sala conferenze della Fondazione “Il Vallato” risponde alle domande poste dagli intervistatori Andrea Fabbri e Danilo Ciccolessi. Impegnato da oltre trent’anni nel contrasto alle mafie e nell’accompagnamento dei cosiddetti “pentiti di mafia”. Il suo percorso inizia accompagnando coloro che hanno sofferto per la perdita di persone care a causa dei delitti perpetrati dalle associazioni mafiose. Tuttavia, dopo una telefonata ricevuta dalla compagna di un collaboratore di giustizia recluso nel carcere di Paliano, in cui lei esprimeva la volontà dell’uomo di incontrare don Marcello, tutto cambia. Da quel momento, inizia il percorso del sacerdote al fianco dei collaboratori di giustizia. Percorso sicuramente non facile, tanto che don Marcello utilizza l’efficace metafora dei personaggi biblici Caino e Abele, il carnefice e la vittima. Inizialmente con un sentimento di sfida, racconta, comincia ad incontrare i maggiori esponenti di Cosa Nostra, tra cui Giovanni Brusca, mandante dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, Salvatore Grigoli, assassino di don Giuseppe Puglisi e Gaspare Spatuzza, coinvolto nell’organizzazione della strage di via d’Amelio, in cui morì Paolo Borsellino. Trovandosi difronte a loro, però, ammette il sacerdote, di essere stato “disarmato”. Sicuro che avrebbe incontrato dei “mostri”, lentamente si rende conto che, in realtà, erano delle persone normali che, però, avevano commesso delle “azioni mostruose”, spesso influenzati da dinamiche familiari e culturali dannose. Per questo motivo don Marcello crede che persino i “cattivi” possano cambiare, e a questo proposito cita le parole del teologo David Maria Turoldo: “Ogni persona è un’infinita possibilità”. Da parte sua, afferma il sacerdote, c’è la consapevolezza di star seguendo un percorso scomodo, ma c’è anche l’idea che sia importante stare accanto al dolore delle “persone scomode” e che non si debba mai smettere di voler capire le cose in profondità. Don Marcello conclude il suo intervento fra gli applausi e i ringraziamenti del pubblico con un’ultima riflessione. Nella sua vita due “fili rossi” si intrecciano: legalità e fede, entrambi espressi nelle immagini di due opere. La Costituzione, la carta fondamentale che riconosce i diritti dell’uomo come insiti della natura di ognuno, e il Vangelo, nel quale viene esposto il messaggio di una figura, secondo don Marcello, “scomoda” come Gesù. L’insegnamento della parola di Cristo è ciò che il sacerdote cerca di mettere in atto nella sua attività: stare vicino agli ultimi e agli emarginati, persone che, secondo la maggior parte, non hanno posto nella società.